Un ritorno duraturo dell'inflazione?

15 dicembre 2021

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«Attraverso un processo continuo di inflazione, i governi possono intascare, in modo segreto ed inosservato, una parte importante della ricchezza dei loro cittadini» John Maynard Keynes

Le prospettive possono cambiare molto in un anno! 

Dopo i timori per i vuoti lasciati da una recessione auto-indotta, sono ora gli squilibri di una ripresa quasi troppo rapida ad allarmare i governi, le banche centrali, gli economisti e gli investitori. Le restrizioni all’offerta e le carenze di approvvigionamento potrebbero paralizzare l’economia mondiale, con la minaccia di dover convivere con un’inflazione (moderatamente) più elevata e meno transitoria del previsto. 

Ironia della sorte, è stato proprio l’autore della tesi della «stagnazione secolare» (Larry Summers) uno dei primi a lanciare l’allarme, ipotizzando all’inizio dell’anno un possibile surriscaldamento dei piani di rilancio, sullo sfondo di un recupero già molto intenso. Vi è pertanto il rischio che, come in passato, i rimedi proposti siano peggiori del male, e si mantengano misure keynesiane di sostegno monetario e fiscale per sostenere la domanda in risposta ad una una crisi dell’offerta.

Inflazione: un cambio di regime all'orizzonte?

Anche sul fronte dell’inflazione, il cambiamento di prospettiva rispetto allo scorso decennio ha dell’incredibile: dopo aver trascorso un decennio a stimolare senza successo le aspettative di inflazione mediante programmi di acquisto di asset che tendevano a far salire i prezzi degli attivi, le banche centrali in tutto il mondo adesso stanno cercando di conciliare il sostegno ad una ripresa ancora confusa con l’esigenza di normalizzare le loro politiche monetarie dinanzi ad un’inflazione superiore al target. Il tutto per preservare un debito pubblico sostenibile. Siamo tornati agli anni Sessanta, all’epoca della «fiscal dominance». La teoria di una «giapponesizzazione» dell’economia europea sembra solo un lontano ricordo.

Al di là delle sfide inflazionistiche in questa fase del ciclo, c’è un altro argomento che anima oggi le discussioni degli economisti: se sono ancora presenti o meno fattori strutturalmente deflazionistici nelle nostre economie. Per tre decenni il trittico invecchiamento/globalizzazione/digitalizzazione si è tradotto in un’inflazione intorno all’1% in Europa, un fenomeno amplificato dall’individualizzazione delle condizioni lavorative, da un eccesso di risparmio e dai bassi investimenti. Mentre alcuni di questi fattori dovrebbero persistere (soprattutto il digitale e la tendenza demografica), è possibile che la globalizzazione, ed in particolare la concorrenza per mezzo di bassi salari, perda vigore.

Nuove variabili da considerare

Poiché quello dell’inflazione è un tema dai forti connotati politici, sociali ed emotivi, il ricordo dei paesi europei o latino-americani travolti dall’iperinflazione è ancora vivo nella memoria, è logico che queste rinnovate tensioni sui prezzi inducano a reazioni eccessive, nello specifico il timore di un’inflazione nuovamente fuori controllo. Il pericolo sarebbe quindi di decretare un ritorno definitivo e duraturo dell’inflazione, tesi che non ci trova d’accordo.

Lo scenario maggiormente probabile è piuttosto che questa impennata si attenuerà gradualmente nel 2022, con l’inflazione che però si stabilizzerà ad un livello più alto rispetto a quello dello scorso decennio. In definitiva, è possibile che l’inflazione sia il frutto delle preferenze sociali e dei vincoli politici emersi nel nuovo decennio: una maggiore consapevolezza di quanto siano insostenibili le diseguaglianze ed i cambiamenti climatici, unitamente all’esigenza di ridurre i coefficienti di indebitamento senza ricorrere alle politiche del rigore. Questo contesto sarebbe probabilmente favorevole ad un regime di inflazione leggermente più elevato. 

Anche in questo caso, il ribaltamento è sbalorditivo: le politiche di bassa inflazione sono ora percepite come inique quando i prezzi degli asset salgono, mentre prima l’inflazione era il male supremo per il potere di acquisto delle classi medie. Come scriveva Mitterand nel 1978 «l’inflazione è una tassa sui poveri». A differenza degli Stati Uniti, in Europa i salari sono aumentati in misura contenuta. Pertanto, non tutti auspicano necessariamente un ritorno dell’inflazione, anche se quest’ultima sarebbe per i governi una comoda via d’uscita dall’eccessivo debito pubblico.

Per il mondo di domani dovremo ancora attendere; ad affiorare è piuttosto un nuovo equilibrio, caratterizzato da un’accelerazione delle tendenze che prevalevano prima della pandemia. Con un’incognita che potrebbe però rimettere tutto in discussione: la traiettoria dell’economia cinese, motore della crescita mondiale nell’ultimo decennio, sulla quale nei prossimi due anni peserà probabilmente la ristrutturazione del settore immobiliare.

Le banche centrali dovranno quindi destreggiarsi con abilità tra sostegno all’economia, controllo dell’inflazione e contenimento del debito. Le loro risposte varieranno, con i paesi occidentali che stanno tentando una timida normalizzazione, la Cina che deve ridurre l’indebitamento nell’immobiliare e gli altri paesi emergenti che sono stati i primi ad aumentare i tassi. Questa divergenza monetaria è un elemento cruciale per l’analisi del contesto valutario nel prossimo anno. 

Il pricing power: un strumento contro l'ascesa dei prezzi

Per le imprese, queste tensioni inflazionistiche, durature o passeggere che siano, pongono numerose sfide ma, in questa fine dell’anno, i diversi settori economici mostrano finora una resilienza dei margini ai limiti dell’inverosimile. Di fronte all’aumento dei costi energetici e dei salari negli Stati Uniti, le imprese stanno beneficiando oggi di un importante pricing power, tanto nei settori caratterizzati da squilibri tra la domanda e l’offerta quanto in quelli a forte valore aggiunto, dove la domanda è poco sensibile alle variazioni dei prezzi. Tuttavia, è chiaro che risulta più agevole assorbire il rincaro dei costi in un anno di crescita sostenuta rispetto ad uno più normale. Questo tema sarà quindi decisivo per le aspettative di rendimento nei prossimi anni.

Questo è l’argomento che tratteremo nel nostro Global Outlook, che cerca tanto di chiarire, sulla base dei fatti, le varie cause attuali di questa ripresa inflazionistica, quanto di delineare uno scenario per il prossimo anno e di identificare le implicazioni per le banche centrali, le valute e gli investitori azionari.

 

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Global Outlook, pubblicato il 17/11/2021 - Estratto dall'Editoriale

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